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Per chi odia i meme, ecco il #dollypartonchallenge

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In questi giorni spopola sul Web il meme sui quattro volti dei più noti social network: LinkedIn, Facebook, Instagram e Tinder. È un fenomeno virale, il #dollypartonchallenge. Il mio solito invito a non usare i meme.

La mania dei meme

Rimbalza sulla home di Facebook il meme sull'immagine da abbinare ai quattro social network più diffusi: Facebook, Instagram, Linded In e Tinder. Nel ripropongo alcuni (vedi oltre).

A me non piacciono i meme. Già li criticavo quando ancora il fenomeno era agli inizi e li additavo come quelle detestabili immagini con una scritta sopra.

I meme esistono perché il Web 2.0 partecipativo e di massa ha richiamato a se una moltitudine di persone spinte dal bisogno di cercarsi e organizzarsi. I punti di forza del Web 2.0 sono stati la gratuità, la facilità d'uso, la possibilità di manifestarsi agli altri, la disponibilità di contenuti aggiornati frequentemente. Nel nuovo habitat del Web gli istinti hanno guidato gli utenti alla conquista di spazi sterminati e inesplorati. Quando i social network hanno richiamato sul Web masse sempre crescenti di persone, queste si sono sistemate in un mondo nuovo ma non più incontaminato e grezzamente organizzato.

Il Web 2.0 ha avviato una storia evolutiva dell'utente medio della Rete e la selezione naturale ha premiato i più capaci di aggregare, fare numero, ordinare le connessioni tra i navigatori secondo abitudini comuni. Google - per esempio - trae profitto dai comportamenti degli utenti sul Web.

Il meme si diffonde e passa in rassegna un numero sempre crescente di persone, alla ricerca di consenso. Più cresce il consenso, più crescono le interazioni e maggiore sarà la diffusione del meme in un effetto a catena. Ogni nuovo meme attraversa le folle di utenti e le smuove, estraendo senso e consenso dalle azioni compiute on line.

Il meme parla chiaro

Il Web 2.0, così anarchico, goliardico, partecipativo, libero e dissennato, si sottrae al potere e all'autorità (almeno in apparenza). La comunicazione è tra pari e ci si dà del tu. Se l'autorità non esiste (in apparenza) allora non ha il bisogno di manifestarsi e all'autorità piace manifestarsi mantenendo le distanze, a partire dal linguaggio. Pensiamo, per esempio, al linguaggio della burocrazia, cioè del potere e di chi lo gestisce: quante volte risulta difficile compilare un modulo o capire il senso di una legge!

Il meme, invece, parla chiaro e lo deve fare nel breve tempo in cui scorre sullo schermo dell'utente. Il meme deve essere nuovo e già familiare, sorprendente e rassicurante, inedito e già visto; altrimenti, scorre via senza lasciare traccia.

Non ci sarebbero ragioni per non piacermi; invece, a me i meme non piacciono per vari motivi: per esempio, chi ti propone un meme è in cerca di consensi, quasi sempre facili consensi, e di qualcuno che aderisca alla sua iniziativa di propagazione del suo verbo. Non a caso, i meme sono firmati (un logo, un nickname, un hashtag o altro). In poche parole, a nessuno piace che i cani gli piscino sulle ruote della macchina. Neanche a me.

Che cosa dicono questi meme

Propongo alcuni di questi meme. Li ho scelti a caso su Facebook, tanto sono tutti uguali. Li trovate sotto l'hashtag #dollypartonchallenge.

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Guardandoli tutti insieme, anche se sono solo pochi esempi, questi meme sono la rappresentazione di come la gente appare sui social network. L'ultimo meme, quello con i cani, è forse il più immediato.

LinkedIn è quasi per lavoro o, meglio, è la scusa del lavoro per il tempo speso sui social network. Gli utenti di LinkedIn sono spocchiosi, rampanti, operativi (che brutta parola!), ripuliti.

Facebook è per il dovere sociale. Nella foto profilo gli utenti sono intraprendenti, colti nell'esercizio della loro posizione alpha, trascinatori.

Instagram è per chi non può essere il primo, ma non vuole essere secondo a nessuno; va di moda la posa del pensatore con il volto mollemente coperto dalla mano, lo sguardo rivolto altrove a simulare una sofferta spontaneità.

Tinder, forse, è il più autentico: in fondo, il Web 2.0 è un terreno di caccia e lo scopo principale è la prosecuzione della specie.

Dettagli: 25/01/2020 · 887 view

About me

Sono Antonio Picco. Ogni tanto pubblico qualcosa qui, non più tanto spesso, ma mai per caso. Lo faccio dal marzo del 2003.
Da allora, ho mantenuto lo stesso approccio al Web, nonostante gli effetti nocivi che la società ha riversato sulla Rete in modo entusiastico e incontrollato.
Scrivo soprattutto per commentare le dinamiche del Web e dei social network, i discorsi impegnati, gli spot pubblicitari e il desiderio obbligatorio di spettacolarizzazione dell'osceno che deve piacere anche a te, se già piace a tutti gli altri.