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Perché lo snob non guarda la TV ma è entusiasta di Internet?

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Se la TV non ti piace più vuol dire che puoi ancora fare delle scelte.

Il bambino senza televisione

Tra il 1985 e il 1986 frequentavo la seconda elementare e ricordo un brano nel mio libro di letture intitolato Il bambino senza televisione. La storia di quel bambino era commovente, come tutte le storie di bambini meno fortunati che sono, però, fortunati a modo loro. Senza la TV in casa, il bambino non poteva commentare il film della sera prima con i suoi compagni di scuola e si sentiva escluso. Quel bambino meno fortunato ed emarginato diventava, sul finale, il più fortunato e il leader di un numeroso gruppo di amici dopo che il bambino senza TV e i suoi compagni avevano preso l'abitudine di incontrarsi la sera per guardare fuori dalla finestra e ascoltare insieme i rumori, come faceva lui quando era da solo e si sentiva escluso perché senza la TV. Con il potere della fantasia i bambini inventavano storie, mai neanche immaginate dai migliori sceneggiatori.

Il racconto invitava i bambini a tenere spenta la TV e a usare di più la fantasia.

Berlusconi e la TV commerciale

Proprio in quegli anni in Italia si discuteva di TV commerciale, dopo la diffusione su quasi tutto il territorio nazionale di Rete4, Canale5 e Italia1, di Silvio Berlusconi. Esistevano anche altri canali commerciali, ma non visibili da tutti.

Michele Rizzi ne parlava in La pubblicità è una cosa seria [1], ricordando come la rivoluzione culturale di quegli anni avesse modificato profondamente l'esperienza di molti. Il sistema televisivo dei canali di Berlusconi era democratico perché si fondava sul consenso dei telespettatori. Il consenso era la conseguenza dell'audience, misurato quotidianamente prima con il Meter e l'Istel [2] e poi dall'Auditel a partire dal dicembre del 1986 [3].

Trovo una metafora dell'Auditel nel testo di Supertelegattone (1978): sono il gatto sul tetto che ascolta tutto come fosse la prima volta.

Conoscere in profondità i gusti televisivi degli italiani consentiva ai responsabili dei palinsesti televisivi di proporre film, programmi e pubblicità in funzione dei gusti degli italiani davanti ai teleschermi, a seconda dell'orario.

A molti la svolta della TV di Berlusconi non piaceva. Rimpiangevano i tempi in cui c'era un solo canale. Le differenze tra la TV del solo canale possibile e la TV commerciale si notano quando la RAI ci propone qualche replica in bianco e nero. Quando di canale ne esisteva uno solo, gli spettatori a casa non potevano né scegliere, né discutere, ma solo accettare [4] ciò che passava lo schermo. La TV commerciale ha dato allo spettatore la possibilità di scegliere non solo tra un canale e l'altro, ma tra una programmazione di Stato e una programmazione di privati.

Quelli che "Io non guardo mai la TV"

Mi capita di soffermarmi sui commenti che la gente lascia nel Web e, parlando di TV, molti cominciano con: io non guardo mai la TV, però... e proseguono con una attenta descrizione di programmi che dicono di non aver mai visto.

Per loro, l'informazione arriva solo tramite il Web e scaricano dalla Rete gli stessi contenuti trasmessi in TV. Quindi, il loro rifiuto non è tanto verso i contenuti televisivi, ma verso la televisione come medium.

Mi torna in mente, allora, il mantra di McLuhan il medium è il messaggio [5]. Disertare la platea televisiva è per loro un segno distintivo di elevazione culturale.

È ragionevole parlare si snobismo. Riprendo, come paragone, quanto scrive Packard in Persuasori occulti [6] proprio su come un gruppo di persone abbandoni un'abitudine per snobismo. Packard racconta il triste destino del calo di vendite di una marca di birra, abbandonata dalle persone col desiderio di elevarsi socialmente per non identificarsi con un simbolo in declino. Se è chic non guardare la TV, allora le persone col desiderio di elevarsi socialmente faranno sapere ai quattro venti di non guardare la TV o, addirittura, di non avere un televisore in casa.

Non voglio dire che la TV abbia un declino perché sempre meno persone la guardano. La TV è per gli snob in declino perché incapace di rappresentare ancora l'élite sociale e culturale a cui aspirano: la TV non è più la maestra che insegna cose, ma uno spaccato del pubblico.

Lo snob guarda gli episodi della sua serie preferita sul computer e non alla TV, perché lo snob rifiuta la TV come mezzo (medium) e non disdegna i contenuti trasmessi (messaggio).

L'importanza del pubblico

Finché un mezzo di comunicazione raggiunge un pubblico limitato, elitario, anche il messaggio rimarrà a uso e consumo di una piccola cerchia di persone. Questo aspetto è importante se pensiamo a tematiche di rilievo di cui si vorrebbe che la politica si occupasse.

Lo spiega bene Piero Angela in un capitolo di Premi e punizioni [7]. Lui di TV culturale e divulgativa se ne intende. Per convincere la politica a occuparsi di una questione importante, bisogna mettere i politici di fronte al pubblico, formato da elettori, il più numeroso possibile. Un esempio di questa pratica è successo pochi giorni fa con l'oscuramento delle pagine dell'edizione italiana di Wikipedia [8], per far prendere coscienza gli italiani delle direttiva europea sul diritto d'autore. Il gesto di Wikipedia - per certi versi discutibile - ha coinvolto emotivamente un gran numero di persone e ne hanno parlato nel Web e in TV. Il pubblico di elettori, coinvolto anche se non informato, ha preteso dalla politica una risposta e il voto sulla direttiva è stato rinviato.

Nonostante siamo sempre connessi a Internet, la televisione ha ancora il ruolo di raggiungere il maggior pubblico possibile nell'unità di tempo e informa tutti gli ascoltatore nello stesso momento. Un banner che annuncia l'oscuramento di un sito, invece, raggiunge il pubblico solo al momento di caricare la pagina e solo se quella pagina, tra miliardi di altre pagine, viene caricata.

Conclusione

La TV segue il consenso del pubblico, continuamente rilevato e interpretato. Ciò che piace oggi sarà lo scarto di domani. Così, nella nostra memoria la TV diventa un cumulo di non mi piace più, oppure di era meglio prima. La TV della nostalgia è proprio la risposta all'era meglio prima.

In questo senso, i detrattori della TV trovano la motivazione del loro disappunto. Secondo me, però, dimenticano di considerare il loro rapporto con il mezzo e delle conseguenze che questo porta su ciascuno con uno sfasamento, ampio o ridotto. La TV segue il consenso e chiede continuamente allo spettatore di adeguarsi alle linee del pubblico più numeroso possibile.

Se allo spettatore la TV non piace più vuol dire che il potere della scelta è preservato.

C'è da chiedersi se la Rete, invece, lasci ancora un margine di scelta all'utente, sempre entusiasta di rivolgersi all'informazione del Web, snobbando la TV.

Note

  1. M. Rizzi, La pubblicità è una cosa seria, Sperling & Kupfer, Milano, 1987.
  2. G. Benigni, E ora... fuori il campione, in "Repubblica", 7 giugno 1985 consultabile qui.
  3. vedi www.auditel.it/come-lavora.
  4. C. Freccero, Televisione, Bollati Boringhieri, Torino, 2013.
  5. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967.
  6. V. Packard, Persuasori occulti, Einaudi, Torino, 2015.
  7. P. Angela, Premi e punizioni, Mondadori, Milano, 2000.
  8. Comunicato di Wikipedia del 3 luglio 2018.
Dettagli: 08/07/2018 · 1836 view

About me

Sono Antonio Picco. Ogni tanto pubblico qualcosa qui, non più tanto spesso, ma mai per caso. Lo faccio dal marzo del 2003.
Da allora, ho mantenuto lo stesso approccio al Web, nonostante gli effetti nocivi che la società ha riversato sulla Rete in modo entusiastico e incontrollato.
Scrivo soprattutto per commentare le dinamiche del Web e dei social network, i discorsi impegnati, gli spot pubblicitari e il desiderio obbligatorio di spettacolarizzazione dell'osceno che deve piacere anche a te, se già piace a tutti gli altri.