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Ti ricordi del disastro di Chernobyl?

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Il mio ricordo dell'incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986.

Chernobyl

Nel 1986 frequentavo la seconda elementare nella scuola del mio paese, in Friuli. L'anno, il 1986, era particolare perché ricorreva il decimo anniversario del terremoto che il 6 maggio del 1976 distruggeva case, fabbriche, chiese e scuole.

Le settimane che anticipavano l'anniversario, a scuola noi bambini eravamo impegnati in attività di recupero della memoria, non tanto della nostra - io non ero neanche nato nel 1976 - ma della memoria delle persone e dei luoghi sconvolti dal terremoto. Le memorie erano divise tra un prima e un dopo il terremoto.

Mentre noi stavamo raccogliendo le memorie e le storie della tragedia del terremoto in un Friuli che in dieci anni era profondamente cambiato dopo le opere di ricostruzione, in Ucraina a Chernobyl esplodeva un reattore della centrale nucleare [1]. La notizie dell'incidente alla centrale veniva diffusa in Italia non immediatamente, ma dopo qualche giorno a causa dello stretto riserbo dell'allora URSS. Il Muro di Berlino era ancora in piedi e l'Europa era nettamente divisa tra Est ed Ovest.

A partire dal 29 aprile [2], anche i giornali italiani riferivano la notizia dell'incidente di Chernobyl. La preoccupazione maggiore era la propagazione della nube radioattiva che da Chernobyl si dirigeva verso il Nord Italia.

La nube radioattiva

Una nube radioattiva si era levata da Chernobyl e, a causa delle condizioni meteorologiche di quei giorni, si dirigeva verso il Nord Italia e l'Europa.

Ricordo che in quei giorni pioveva e associavo le piogge all'arrivo della nube radioattiva di Chernobyl.

A scuola spiegavano a noi bambini che il pericolo arrivava, quindi, dall'alto: la nube radioattiva poteva contaminare il terreno, i campi, l'erba, l'acqua, tutto. La prima cosa da fare era lasciare fuori dalle case e dagli edifici le sostanze radioattive che contaminavano il terreno.

Appena arrivati a scuola, noi bambini dovevamo cambiarci le scarpe e indossarne un paio da usare solo all'interno della scuola, perché sulla suola delle scarpe poteva depositarsi della polvere radioattiva. Le mie scarpe da usare solo a scuola erano un paio di sandali scuri, con gli occhi, indossati col calzino bianco.

Siccome le mucche mangiavano l'erba contaminata dalla nube, non si poteva bere il latte fresco. Era consentito il latte in polvere, purché prodotto prima dell'incidente, o il latte concentrato, come quello della Nestlé.

Inoltre, erano vitate le verdure raccolte dopo il 26 aprile, ma si potevano mangiare tranquillamente le verdure raccolte prima dell'incidente e conservate.

Comune denuclearizzato

L'incidente ha fatto molta paura anche in Italia. Nel 1986 non c'era Internet e le notizie circolavano con molta difficoltà, specie dall'URSS. La paura del nucleare, però, ha fatto temere scenari catastrofici, di quelli che ne basta uno per far finire tutto per sempre. Un incidente nucleare ha conseguenze più gravi di quelle di un terremoto. Se il terremoto è un evento incontrollabile perché naturale, almeno un incidente nucleare può essere evitato, sicuramente eliminando le centrali nucleari.

Così, nel 1987 con i referendum l'Italia abbandonava il nucleare [3].

Alcuni comuni italiani ancora oggi accolgono gli automobilisti con il cartello Comune denuclearizzato, cioè che è libero da centrali nucleari [4].

Ogni anno il 26 aprile, non posso non ricordare quei giorni e ancora oggi, a distanza di 31 anni, fanno paura le immagini della centrale di Chernobyl come è oggi, le foto dei bambini nati con malformazioni, i documentari che mostrano una citta abbandonata.

Chernobyl raccontato da Piero Angela a Superquark

Riferimenti e link

  1. ansa.it
  2. storiain.net
  3. corriere.it
  4. garzantilinguistica.it
Dettagli: 26/04/2017 · 2962 view

About me

Antonio Picco, blog on-line dal 2003.

Osservatore intransigente della società, critico dell'evoluzione digitale e del suo impatto sulle nostre vite.
Nel mio blog condivido riflessioni inedite sull'evoluzione del digitale e il suo impatto sulla società, con l'obiettivo di scardinare i diktat del pensiero stampato.
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